In un edificio qualunque di una città che non ha nome, il terzo piano diventa il centro di un’onda invisibile che travolge tutto. Una porta socchiusa. Un furto. Un grido strozzato. La paura che si infila sotto le soglie delle case come una corrente d’aria fredda. È lì che si incrociano le vite di chi abita i piani di sopra e di sotto, di chi sale le scale ogni giorno portando con sé il peso dei propri pensieri, di chi osserva senza essere visto, e di chi invece cerca, disperatamente, di essere riconosciuto.
Un romanzo che svela l'invisibile.
Una donna anziana, con le mani tremanti e gli occhi pieni di ricordi, apre la porta a qualcosa che non è mai stato detto. Un ragazzo con lo sguardo duro e il cuore in frantumi cammina in bilico tra colpa e redenzione. Intorno a loro, un condominio fatto di muri sottili e silenzi densi, dove il vero dramma non è ciò che accade, ma ciò che da sempre rimane nascosto.Un viaggio dentro il condominio come specchio della società.
Una storia che ci costringe a guardare gli altri — e noi stessi — come forse non abbiamo mai osato fare.E' un'opera che parla di comunicazione interrotta, distorta, mancata, e di come questa assenza di scambio reale possa generare sospetto, solitudine e, in ultima analisi, disumanizzazione. Ambientato in un microcosmo che è il condominio, il romanzo mette in scena la crisi della comunicazione tra individui che vivono fisicamente vicini ma emotivamente distanti.
Non comunicare è già una forma potente di comunicazione, spesso carica di ambiguità e di conseguenze imprevedibili. L’assenza di parole, gli sguardi evitati, le porte chiuse, i silenzi pesanti che riempiono il pianerottolo sono tutti segni di una rete comunicativa fragile, in cui il non detto parla più forte di qualsiasi discorso. Questo silenzio condominiale, fatto di frasi smozzicate e di saluti tirati via, riflette dinamiche sociali più ampie: la perdita dell’ascolto, la paura dell’altro, il giudizio rapido, la costruzione di stereotipi che diventano muri invisibili.
Ogni personaggio è un "emittente" isolato, che spesso parla senza ricevere risposta, oppure interpreta messaggi in modo distorto. Questo genera una rete comunicativa segnata da incomprensioni, false attribuzioni, pregiudizi. L’evento del furto non è solo un atto criminale, ma un detonatore simbolico che rivela quanto le relazioni interpersonali siano costruite su fragili equilibri percettivi: la vicina di casa viene vista come vittima, ma anche come colpevole; il ragazzo sospettato viene etichettato in base alla sua apparenza, prima ancora che possa dire una parola. In questo senso, il romanzo ci interroga: quanto spazio lasciamo agli altri per raccontarsi davvero?
Dal punto di vista della teoria della comunicazione, Il terzo piano si inserisce nella riflessione sul rumore nella trasmissione del messaggio (Shannon e Weaver), mostrando come elementi esterni o interni — come i preconcetti, la paura, l’indifferenza — possano alterare il significato di un’interazione. Ma va oltre: il romanzo parla anche della comunicazione come relazione, come atto etico, come responsabilità. Riprende implicitamente la lezione di Paul Watzlawick: "Non si può non comunicare". Anche il silenzio, anche l’assenza, anche il chiudere una porta è un atto comunicativo.
Infine, l’opera suggerisce una via d’uscita: la possibilità, fragile ma reale, di ricostruire una trama comunicativa fondata sull’ascolto, sulla comprensione e sull’apertura all’altro. Quando i personaggi, pur nel dolore e nella diffidenza, iniziano a riconoscersi, a vedere l’umano dietro l’etichetta, la comunicazione torna a essere ponte e non barriera. È in quel momento che il “terzo piano” smette di essere solo un luogo fisico e diventa uno spazio simbolico di trasformazione, dove il vissuto personale si intreccia con quello collettivo.
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